Il maschilismo al lavoro è un problema con cui hanno a che fare moltissime donne. Vediamo insieme come comportarci quando accade.
Maschilismo al lavoro. Invece che perderci in definizioni teoriche, oggi voglio raccontartelo così come di solito avviene. In tante e spesso insospettabili realtà… Ecco solo tre esempi che sono capitati a me.
Scena numero 1.
Azienda ad altissima occupazione femminile. Riunione di 9 persone, 3 uomini e 6 donne. L’unica dirigente donna suggerisce di prendere un caffè prima di iniziare, rivolgendosi così al suo team tutto al femminile: “Ragazze, ci pensiamo noi al caffè che qui ci sono solo 3 maschietti?”. Sottotitolo: ragazze, andate voi a fare i caffè in quanto ragazze?
Scena numero 2.
Corso di aggiornamento sul project management. Il formatore in aula chiede ad uno degli ingegneri uomini di fargli un esempio su come pianificherebbe il lancio di un nuovo modello di macchina. Poco dopo si rivolge ad un ingegnere donna ponendole una domanda simile. Stavolta, però, le chiede di elencare le azioni che svolgerebbe (cito testualmente) per “preparare un piatto di spaghetti“. E cosi via, in un’alternanza imbarazzante negli esempi richiesti a uomini e donne, sebbene entrambi i gruppi avessero una laurea in ingegneria in tasca.
Scena numero 3.
Lavoro a Londra già da 2 anni. Volo a Roma per un evento con speaker internazionali, figure di spicco di varie aziende europee e della scena politica italiana. Un politico sul palco continua a chiamare “Dottore” ogni speaker uomo e “Signorina” ogni speaker donna. “Il dottore e la signorina”, cosa che nemmeno nei romanzi Harmony. Peccato che “le signorine” in questione avessero lauree e dottorati e lavorassero ad uno dei programmi più innovativi di Google sull’intelligenza artificiale.
Una storia che accomuna tante donne
Tre episodi di maschilismo al lavoro, ma potrei raccontarne tantissimi altri. Non solo quelli che mi riguardano personalmente, ma anche tanti (tantissimi, troppi), che appartengono alla vita quotidiana di amiche, colleghe e lettrici di Donna In Carriera. Eccone un esempio fra tanti:
“Ciao Arli, i tuoi post sono veramente profondi, soprattutto quelli che riguardano le donne. Io sono un medico e lavoro in ospedale […] ti posso assicurare che è un ambiente maschilista. Anche se siamo io e le mie colleghe donne a fare la maggior parte del lavoro, ti senti sempre dire “E il dottore quando viene?“. E magari tu hai appena concluso una visita puntigliosa, più di quanto avrebbe fatto il tuo collega. Però non importa. Si va avanti. Un abbraccio e continua così”.
Però non importa.
Si va avanti.
Non importa?! Certo che importa.
Andare avanti dobbiamo, ma chi lo ha detto che dobbiamo continuare a farlo con queste condizioni?
Maschilismo: una definizione utile
Wikipedia definisce il maschilismo come:
“Un atteggiamento o forma mentis basato sulla presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna. Questo termine divenne di uso comune negli anni ’60 per indicare un atteggiamento socio-culturale fondato sulla supremazia maschile e sulla continuità del sistema patriarcale”.
Al di là di questa definizione un po’ enciclopedica, temo che il problema sia molto più subdolo e sottile.
Perché (grazie al cielo!) ben di rado incontreremo uomini sinceramente convinti della superiorità del proprio genere rispetto a quello femminile (sebbene esistano, fino a sfociare nell’irragionevolezza della misoginia).
Salvo rari casi, ho sempre lavorato con uomini rispettosi, educati, che riconoscono e rispettano i ruoli di ciascuno a dispetto del genere. Lo stesso dicasi per le donne (eh sì, perché un atteggiamento maschilista non è appannaggio unicamente degli uomini!).
Ho visto anche, però, uomini e donne cadere in questa trappola nonostante le intenzioni fossero delle migliori.
Perché, per produrre effetti negativi e deleteri, il maschilismo non ha bisogno di essere lampante o plateale.
Passa spesso, invece, per episodi più piccoli, all’apparenza insignificanti, quasi trascurabili. Cose per cui “Eddai, ma fattela ‘na risata“.
Episodi che però, sommati l’uno all’altro, contribuiscono a foraggiare un retaggio culturale sbagliato, il terreno in cui progredisce l’assenza di pari opportunità.
Ci troviamo così ad avere professioniste altamente specializzate che vengono continuamente e ripetutamente “utilizzate” per ruoli da segretaria. O professionisti uomini che ricevono aumenti e promozioni che magari una collega meriterebbe maggiormente. O uomini al potere (che come ben sappiamo rappresentano la maggioranza) che preferiscono avvalersi di collaboratori uomini, in quanto percepiti come più facilmente gestibili, meno emotivi.
E cosi via in un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire.
O almeno finché… finché non decidiamo che non sia ora di uscirne.
Il maschilismo al lavoro è (anche) nei piccoli gesti
Diciamo spesso che “sono i piccoli gesti quelli che contano”. È così quando si parla di qualcosa di positivo, ma vale anche con le cose negative.
Sono i piccoli gesti, sì.
- Le battute inappropriate a cui dovresti abbozzare un sorriso perché sennò “eh ma quanto sei seria“.
- Un occhiolino fatto in contesti in cui l’idea non dovrebbe nemmeno sfiorare chi lo fa.
- Un complimento non richiesto e inopportuno, che sposta il focus dalla professionista alla donna, ad una sfera che nulla ha a che vedere con quella lavorativa.
- Un modo di fare paternalistico, per cui si ritiene di dover spiegare alla collega donna come le cose funzionano, o di dover ripetere ciò che ha appena detto (entriamo così nel regno del mansplaining).
- Un discorso interrotto, una parola non data, un merito preso per qualcosa che non si è fatto…
Come comportarsi quando ci si trova in situazioni del genere? Queste sono le strategie che ho utilizzato io negli anni e che voglio condividere con te.
Riconoscilo
A volte, soprattutto quando siamo giovani e all’inizio della nostra carriera, ci sentiamo quasi in dovere di “stare al gioco”. Di dover sorridere alle battute idiote o di dover necessariamente dire di sì a richieste basate più sul nostro essere donne che sulle nostre competenze.
C’é forse una ragione o spiegazione biologica per cui devono essere sempre le donne a prendere appunti in riunione?
Ad oggi non mi risultano ricerche sulla maggiore abilità femminile di prendere appunti o gestire il calendario del team.
Il primo passo per contrastare l’esistenza di un problema, si sa, è riconoscerlo. Abituarsi a scremare ciò che è lecito da ciò che non lo è, a mettere in discussione lo status quo e a fidarsi di quella nostra vocina interiore che si chiama intuito.
All’inizio può essere difficile farlo, soprattutto quando viviamo immerse in un contesto che normalizza certi comportamenti.
Ma vorrei ricordarti le ragioni per cui è tanto importante farlo: ne va della tua immagine, percezione e sicurezza come professionista. E non solo quella che gli altri hanno di te, ma anche -e soprattutto!- quella che tu hai di te stessa.
E poi io cerco sempre di vederla in questo modo. Se io non parlo oggi, permetto ad un certo tipo di comportamento di perpetrarsi e magari di essere usato su una donna che ha meno strumenti per difendersi o far sentire la propria voce.
Quando qualcosa ti mette a disagio o non ti torna perché “puzza di maschilismo“, non avere timore di dargli questo nome. Di esporre questo comportamento, di parlarne con altre colleghe, cercare un confronto e anche alleati.
See it, say it
Nelle stazioni inglesi gira uno spot che si sente spesso negli interfoni e che dice: “See it, say it, sorted”. Vale a dire: “Vedilo, dillo, risolto”.
O anche “See something, say something“. Vale a dire: “Vedi qualcosa (di strano?) Dì qualcosa”.
Se nel contesto lavorativo noti che qualcosa non quadra, che si tratti di maschilismo al lavoro o altri comportamenti inopportuni, fallo presente. E questo vale in diverse occasioni. In particolare quando:
- Qualcuno (uomo o donna che sia) adotta un atteggiamento maschilista con te.
- Qualcuno adotta un atteggiamento maschilista con qualcun altro in tua presenza.
- Tu adotti un atteggiamento maschilista. Eh sì, il maschilismo interiorizzato esiste e può portarci, anche a livello più “inconscio”, a passare da vittime a carnefici.
Non ti sto certo invitando a fare scene madri e uscire sbattendo la porta. È anzi proprio per evitare di arrivare a quel punto di frustrazione che certe cose vanno evidenziate, con fermezza e tranquillità, quando si presentano. Senza lasciare che si sedimentino o lascino spazio a fraintendimenti.
Ecco alcuni approcci che funzionano in situazioni quotidiane:
- Una cosa che ho visto fare spesso e con successo nelle aziende per cui ha lavorato a Londra, è parlare apertamente dell’elefante nella stanza. Ad esempio: “Ragazzi, ho notato che sono sempre le donne del team ad occuparsi dei bigliettini per i compleanni. Che ne dite se d’ora in poi facciamo a turno?”. Non aspettare che un atteggiamento maschilista tocchi te in prima persona per parlare. Fallo anche quando vedi che un commento o atteggiamento maschilista tocca un’altra donna.
- In situazioni non gravi, usa l’ironia. “Se non puoi convincerli, confondili” – diceva Confucio. Una risposta brillante ed ironica in risposta ad un atteggiamento maschilista molto spesso evidenzia in maniera più lampante il suo carattere grossolano. Insomma, a buon intenditore poche parole.
- Fai richiamo alla tua assertività e fai presente che hai trovato un certo atteggiamento non gradito. Può bastare un semplice “Magari non era tua intenzione, ma non penso che questa risposta sia opportuna fra colleghi. Ti chiederei gentilmente di evitarlo la prossima volta”. Di nuovo, non c’è bisogno di andare all’attacco. Far sentire una persona attaccata non porta mai a grandi risultati.
- Usa la cosiddetta tecnica della “finta tonta“. Cadi dalle nuvole. Se qualcuno fa un commento inappropriato, fingi un pizzico di stupore e dai ad intendere che l’esternazione ti è sembrata talmente fuori luogo da ritenere di esserti sicuramente sbagliata. L’altra persona dovrebbe cogliere l’antifona.
E sopra ogni cosa, non credere mai che l’onere e il peso di segnalare certi comportamenti ricada su di te. Nel farlo, il focus si sposta tutto sulla persona e sui suoi gesti o parole.
Se il problema è più grave, parlane col tuo capo. Se il maschilismo al lavoro arriva proprio dal tuo capo, valuta di parlarne con l’HR. Non credere in alcun modo di dover venire a patti con il maschilismo al lavoro. C’è sempre un’alternativa e una via d’uscita.
Sempre.
Crea una rete di supporto
Non tutti gli ambienti lavorativi brillano per una cultura aziendale basata sulla comunicazione. In molti, purtroppo, molte donne sono quasi costrette al silenzio e all’accettazione di certi atteggiamenti.
Sono magari persone il cui affitto, un tetto sopra la testa e le spese da pagare dipendono da quel ruolo. Mamme che necessitano di quel ruolo. Donne messe all’angolo da un’apparente mancanza di alternative.
Credimi: non è così. Anche se magari a qualcuna delle lettrici può sembrare così dov’è ora. La primissima cosa di cui devi occuparti e prenderti grande cura sei tu. Tu e il tuo benessere siete la tua priorità più grande.
Se una cultura sana non arriva dall’alto:
- Contribuisci a creare una rete di supporto e un ambiente sicuro per te e le tue colleghe. Un giorno, quando ti servirà, qualcun’altra ti ricambierà il favore. Altre volte invece non accadrà, ma tu devi fare ciò che è in tuo potere per cambiare questo tipo di cultura.
- Parliamo di colleghi uomini. Perché la parità non passa (e non può passare) solamente dalle lotte femminili. Siamo partner, soci e complici. Se c’è un collega con cui aprirti, confrontarti o sfogarti, cerca e crea le occasioni per farlo. Ti stupirai dei risultati 🙂
- Al di fuori del lavoro, parlane apertamente con amiche, amici o il tuo partner. Anche solo parlarne può aiutarti a liberarti di un fardello e ottenere una prospettiva esterna. Al contempo, creerai un momento di connessione e confronto che può essere utile a chi magari sta affrontando situazioni simili o, senza accorgersene, adotta atteggiamenti simili.
Da una comunicazione aperta e trasparente possono derivare grandissimi vantaggi per tutti.
Fai parlare il tuo lavoro
Sei una donna in carriera. Una professionista che ogni giorno aggiunge valore con il proprio lavoro e le proprie idee al contesto in cui ti muovi. Fatti sentire quelle volte in cui il maschilismo incrocia la tua strada, il resto del tempo agisci come se non esistesse.
Lascia che a parlare siano i fatti, il lavoro che svolgi e i risultati che porti.
Per farlo, però, non temere di proteggere il tuo lavoro dal maschilismo al lavoro.
- Certe battute minano la tua credibilità professionale? Mettile a tacere.
- Determinati atteggiamenti limitano la tua progressione professionale? Neutralizzali.
- Alcune richieste ti tolgono tempo per il tuo lavoro? Fallo presente e difendi i tuoi tempi e spazi.
Infine: costringi sempre le persone che adottano atteggiamenti maschilisti a salire al tuo livello. Non scendere mai al loro.
La tua carriera è come una lunga maratona. I corridori vincenti si vedono alla fine della gara.
Le donne che ci hanno precedute hanno combattuto battaglie aspre e difficili per farci arrivare dove siamo oggi. Noi non solo dobbiamo continuare a farlo per garantirci un presente più equo, ma anche un futuro migliore per chi verrà dopo di noi.
Andiamo avanti.
Arli.
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Marco dice
Articolo molto interessante e del tutto
condivisibile.
Arli dice
Ciao Marco,
Ti ringrazio del feedback e lo apprezzo a maggior ragione arrivando da un uomo.
Buona giornata.
Arli.
dario dice
Ciao! Ho trovato molto utile questo tuo articolo.
Vivo in una situazione in cui una mia giovane collega e compagna d’ufficio è continuamente vittima di commenti/battute sessiste e paternalistiche da un collega più grande che ricopre una posizione di leadership.
Io la vedo “stare la gioco” ma ne intravedo il disagio. è consigliabile chiedere a questa mia collega se prova disagio e se ha bisogno di aiuto? o potrebbe risultare che io, da collega maschio, faccia la parte dell'”eroe che vuole salvare la principessa”, magari risultando altrettanto inopportuno?
Arli dice
Ciao Dario,
Piacere di conoscerti. Che bello questo tuo commento; traspaiono tanta gentilezza, attenzione e sensibilità. Anche se non ci conosciamo, mi viene da ringraziarti, perché sono tratti di cui abbiamo molto bisogno.
Ti riporto alcune delle mie riflessioni:
– Dal tuo messaggio penso che con la tua collega saprai utilizzare l’empatia e i modi giusti per non dare l’impressione dell'”eroe che vuole salvare la principessa” 🙂 Chi in genere ha quell’atteggiamento, nemmeno si pone (o si accorge di) questo problema.
– Il fatto che tu abbia notato questa stortura significa che in un certo modo disturba anche te. Quale aspetto nello specifico? Se nella conversazione fai emergere quello, con la tua collega sarà come guardare insieme ad un problema che avvertite entrambi (sebbene le ripercussioni sembrino riflettersi più su di lei). Così facendo sposti il focus da: “A te succede X” a “Ho l’impressione che stia succedendo X; non solo mi dispiace, ma [esempio] trovo irrispettoso e per nulla professionale questo atteggiamento in un contesto professionale”. E a seconda delle dinamiche e i rapporti in ufficio, potrebbe essere molto utile inviare qualche segnale anche direttamente a questa persona senior.
– Quando si presenterà l’occasione, prova a esprimerti sull’argomento condividendo in parte le tue impressioni e chiedendole della sua esperienza. L’eventuale supporto o “bisogno di aiuto”, se necessari, emergeranno anche come risultato del rapporto di fiducia e confidenza (passami i termini) che si instaura. Ognuno reagisce diversamente alle offerte di aiuto, farsi un’idea prima è utile per entrambe le parti.
So che infine, proprio perché siamo su un articolo che parla di maschilismo, è difficile ignorare il tema dei diversi generi. Ma in questo caso, anche solo leggendo il tuo commento, io non ti vedo come “il collega MASCHIO che aiuta collega FEMMINA”. Ti vedo come una persona gentile che vuole tendere una mano ad un’altra persona che sembra essere in difficoltà. Per quanto la tua attenzione e sensibilità siano apprezzabili, penso che tu possa fare lo stesso 🙂
Mi auguro di averti dato qualche spunto utile. Grazie ancora e se ti va fammi sapere come procede.
Buona serata,
Arli.
Grazia dice
Riguardo all’aiuto che può venire da un collega uomo, riporto due episodi a cui ho assistito. Gruppo di tirocinanti, veniva chiesto sempre alla donna di andare a prendere i caffè, all’ennesima richiesta il tirocinante pupillo del capo, (e anche il più brillante) si è alzato e ha detto :” vado io a prendere i caffè, Anna è molto più utile qui”. In un altro episodio ad un commento sul modo di vestirsi della collega ha detto ridendo al capo: ” quasi sono invidioso, a me non fai mai i complimenti”. Era un ambiente in cui capitavo saluariamente, ma era chiaro che anche a questo ragazzo dessero fastidio determinati atteggiamenti e ritengo che con simpatia abbia saputo evidenziarne l’ottusità.