Da ogni dove e in ogni fase della nostra vita, la società ci ripete che siamo o troppo giovani o troppo vecchie per aspirare a certi obiettivi. Come affrontare questa discriminazione legata all’età nel lavoro?
Nell’ultimo articolo ho risposto ad una lettrice che chiedeva come cambiare lavoro a 40 anni. In diverse varianti, negli anni ho sentito questa domanda centinaia di volte.
Il ritornello, quando siamo ancora gli inizi delle nostre carriere, è più o meno questo: “Come faccio a propormi alle aziende per il mio primo lavoro se non ho ancora esperienza?”
Il suo equivalente, quando di esperienza ne abbiamo da vendere, è invece: “Come faccio a cambiare settore, ruolo o lavoro se non sono più giovanissima?”
La domanda, troppo spesso, arriva da persone che sono giovanissime.
A dimostrazione del fatto che non ci sono limiti peggiori di quelli che ci costruiamo nella nostra testa, o che prendiamo per buoni per un dettato tacito (e negativo) della società.
Diventiamo così, al tempo stesso, prigioniere e carceriere della nostra stessa prigione. Quella che ci fa dire “non ho abbastanza esperienza” quando siamo agli inizi, o “non sono più giovanissima” quando abbiamo acquisito esperienza (noti il paradosso in entrambi i casi?).
Così, invece di soffermarci su ciò che abbiamo da offrire, ci immobilizziamo ad osservare le sbarre che ci sono state costruite attorno.
A giustificarci dell’assenza di esperienza quando siamo agli inizi. O a fare ammenda di quei presunti “anni di troppo”.
Entrambe hanno a che fare con una evidente stortura della nostra società che in inglese ha un nome ben preciso…
Discriminazione legata all’età: se la conosci la eviti
A 20 anni una ragazza è piena di idee, prospettive nuove e voglia di fare. Che cosa ci fa credere che la mancanza di esperienza rappresenti un completo svantaggio?
A 40 anni una donna è nel fiore dei propri anni. Che cosa ci ha convinte a credere che quegli anni siano un peso, invece che un valore aggiunto?
La parola inglese ageism fa riferimento alla discriminazione legata all’età (age) di una persona. Si unisce ai tanti -ismo (razzismo, maschilismo, sessismo…) di cui faremmo volentieri a meno. Il termine è stato coniato nel 1969 dal gerontologo statunitense Robert Butler per indicare nello specifico la discriminazione verso i più anziani, e si è poi esteso anche alle fasce più giovani.
Essere consapevole che questi meccanismi esistono è già un passo importante, perché ti permette di riconoscerli e rigettarli. Sia nel confronto con gli altri che -cosa ancora più importante- in quello con te stessa.
Quel confronto e quel dialogo interiore che ti fa sentire inadeguata per via della tua età; che tu di anni ne abbia 22 oppure 45.
Ecco tre cambi di mindset da cui partire.
1. Celebra la mente del principiante
Sai cosa compensa la mancanza di esperienza? Una dose extra di energia ed entusiasmo 🙂 Che tu sia agli inizi, oppure alla ricerca di un cambio di ruolo dopo anni di lavoro, trasforma questa apparente lacuna in una leva utilizzando la… shoshin.
Shoshin (初心) è una parola cinese che significa “beginner mind”, “mente del principiante”. Al contrario di quanto si può comunemente pensare, il termine “principiante” qui sta ad an indicare un atteggiamento di apertura, desiderio di apprendere e assenza di preconcetti quando ci si approccia ad un nuovo argomento. Anche se di livello avanzato.
Nella mente del principiante esistono possibilità molto diverse di quelle che vede l’esperto, la persona già navigata. Poiché il suo modo di pensare su quel dato argomento è ancora scevro di nozionismi e risposte pre-confezionate, non ci sono limiti o risposte automatiche come “questo non si può fare” o “noi abbiamo sempre fatto in questo modo“.
Certo, per far fiorire idee ed attività brillanti devi iniziare a mettere le mani in pasta, e farti contaminare dagli aspetti già esistenti. E la profondità di pensiero data dall’esperienza è un valore aggiunto innegabile.
Ma non sottovalutare il potere di quel foglio bianco. Se non sei tu la prima a farlo e non riesci a vendere la tua shoshin, come ti aspetti che possano farlo gli altri?
2. Adotta una growth mindset e l’atteggiamento del lifelong learner
Per i manager o le aziende per cui l’età diventa il discrimine di certe decisioni, il focus nel processo decisionale è interamente su ciò che la persona sa, rappresenta e ha da offrire in quel momento. Si scatta un’istantanea e, in maniera piatta e meccanica, la si confronta con le necessità del momento. Senza guardare al trascorso o al potenziale di quella persona in maniera più fluida e sfaccettata.
Il tuo compito non è certo quello di provare a cambiare la mentalità di chi la pensa in questo modo. Quanto piuttosto adottare una mentalità che ti permetta di crescere e sviluppare i tuoi talenti nel contesto a te più congeniale. Primo consiglio:
- Adotta una growth mindset (mentalità dinamica, opposta a quella statica). È propria di chi crede che non esistono abilità innate, e che è solamente la pratica costante a far fiorire il nostro vero potenziale. Di chi accetta gli inevitabili fallimenti del percorso e, invece di farsene frenare, li utilizza come molla per fare meglio.
Negli anni e decadi a venire, la tecnologia e le intelligenze artificiali cambieranno alle fondamenta il mondo del lavoro. Le aziende che sapranno distinguersi e mantenere un vantaggio competitivo, non saranno quelle che semplicemente disporranno degli strumenti più all’avanguardia, quanto piuttosto quelle che avranno le persone in grande di interagire con quegli strumenti, semplificarne i risultati e prendere decisioni basate sugli stessi.
Paradossalmente, più aumenta il livello di sofisticazione della tecnologia, più importante diventa avere risorse umane in grado di fare da collante fra la tecnologia e le decisioni da prendere per raggiungere gli obiettivi aziendali.
Che tu sia junior o senior, dipendente, freelance o imprenditrice:
- Diventa una lifelong learner. Ovvero una persona dedita all’apprendimento (learner) nel corso della sua intera esistenza (lifelong). L’importanza di questo concetto, difficilmente traducibile in italiano, è stata ampiamente dimostrata sia in ambito accademico che professionale. E diventando sempre più prioritario per le aziende, rappresenta anche un’opportunità per chi con le aziende ci lavora. Vantaggio da un lato, per le professioniste più giovani, di mostrare quali nuovi e laterali modi di pensare possono apportare. Dall’altro, per le professioniste più senior, di mostrare che possono mantenersi aggiornate e al passo coi tempi, aumentando o modificando il set di competenze richieste per svolgere il proprio ruolo.
3. Sii la più grande cheerleader di te stessa
Pensa, parlati e presentati come se fossi la tua più grande cheerleader. Non accettare che sia qualcun altro a dirti che non vai bene basandosi su standard totalmente aleatori e soggettivi.
A dirti che sei troppo giovane o troppo vecchia.
Che ti manca l’esperienza o che ne ha troppa e sei iper-qualificata.
Che sei troppo junior per farti sentire a quella riunione, o non più abbastanza giovanile e attraente per interfacciarti coi clienti.
Essere la tua più grande cheerleader significa puntare i riflettori su ciò che la tua bravura, la tua esperienza e la tua sensibilità hanno da offrire. A prescindere dalla tua età.
Significa non aspettare che siano gli altri ad accendere musica e riflettori davanti cui far emergere i tuoi talenti.
Significa rifiutare i confini imposti dalla società e giudicare il tuo percorso secondo i tuoi standard.
Fallo per te e fallo per chiunque si trovi o si troverà a combattere con la discriminazione legata all’età.
Arli.
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Valeria dice
Io penso che persone come il dr Giuseppe Caruso stiano facendo davvero qualcosa di grande conto le discriminazione nella comunicazione. E’ importante sensibilizzare persone e aziende per cambiare questi retaggi culturali.
Arli dice
Ciao, non conosco il dr. Caruso, ma concordo che si tratta sicuramente di un argomento su cui c’è bisogno del supporto di tutti; donne e uomini.