Ci sono parole che si diffondono e hanno il potere di cambiare il modo in cui pensiamo e interagiamo con gli altri. Fra queste, “mansplaining” e “paternalistico”.
Diceva il filosofo tedesco Martin Heidegger che “siamo le parole che conosciamo“. E anche che “l’essere al mondo dell’uomo è determinato nel suo fondamento dal parlare“.
Beh, figuriamoci quello della donna 😉
Freddure a parte, quello che Heidegger sottolinea è come certe parole (e i mondi che celano) possono farci entrare in nuove dimensioni di consapevolezza. Ci aiutano a dare un nome a comportamenti, atteggiamenti e derive culturali che finalmente assumono un senso e un contesto.
A realizzare che fanno parte di una narrativa più ampia, che non riguarda solo noi personalmente. All’improvviso, certe parole hanno persino il potere di farci sentire meno sole.
Per una donna, può accadere quando comprende che certi comportamenti, al lavoro e al di fuori, sono il risultato di una cultura maschilista. che fomenta un atteggiamento paternalistico e una pericolosa tendenza al mansplaining.
Se questi termini non ti sono familiari, continua a leggere.
Atteggiamento paternalistico
L’aggettivo “patronizing” è diffusissimo nel mondo anglosassone. Quando mi sono trasferita in Inghilterra e ho iniziato a lavorare per Google, mi ci è voluto un po’ a interiorizzare il concetto. E anche a smettere di stupirmi della familiarità, frequenza e sicurezza con cui veniva utilizzato dalle mie colleghe donne (e non di rado anche da diversi uomini!).
“Patronizing” si traduce in italiano con “paternalistico”, di cui il dizionario ci dà questa definizione:
Atteggiamento di benevola superiorità e condiscendenza da parte di un datore di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti o, in generale, da parte di qualcuno nei riguardi di chi è gerarchicamente inferiore, più giovane e simili.
L’atteggiamento paternalistico è tipico di chi, volontariamente o meno, si pone in una condizione di superiorità. Segue il modello comportamentale del padre benigno e caritatevole nei confronti della figlia ingenua e inesperta (o almeno tale lui la ritiene).
- È tipico di chi impone la propria conoscenza o esperienza sulla tua, e prosegue imperterrito nel rendertela evidente nonostante tu abbia reso chiaro che si tratta di qualcosa che sai già, o di cui hai già fatto esperienza.
- È l’atteggiamento di chi si premura di dirti cose tipo: “tranquilla, non ti preoccupare, vedrai che te la caverai… se te lo dico io puoi fidarti 😉“. Col tono condiscendente del papà intento a convincere la figlia cinquenne a togliere le rotelle laterali alla bicicletta. Spesso e volentieri, lo fa in situazioni in cui tu hai già tutto sotto controllo e questa fantomatica preoccupazione non varcava nemmeno l’anticamera della tua mente.
- Di chi ritiene che il suo intervento da deus ex machina (spesso sotto forma di interruzione) sia necessario per sbrogliarti da una certa situazione su cui stai già intervenendo con efficacia. O di dover riformulare il tuo pensiero per renderlo più chiare ai presenti in una stanza (che avevano già capito la prima volta). Cose tipo: “Quello che Sara intendeva è che...”
Beh, facciamo che è Sara a dover spiegare cosa Sara intende?
L’atteggiamento paternalistico suggerisce, alla persona a cui è rivolta e/o ai presenti, che quella persona non ha il potere, le competenze o l’esperienza adatta per gestire una certa situazione, per risolvere un problema o scegliere autonomamente come cavarsela in una certa situazione.
L’atteggiamento paternalista sembra dire: “Io so meglio che cosa è bene per te. E ora te lo spiego anche se in realtà non lo so, non me l’hai chiesto e nemmeno ti serve”.
È la sindrome del salvatore-non-richiesto, di Super Mario che vuole salvare la principessa dal castello liberandola dal drago.
Solo che la principessa non ha mai chiesto di essere salvata. E l’unico drago della storia è Super Mario stesso. A proposito…
Nella prima stagione del gioco, Super Mario salta sopra a tutte quelle tartarughe, usa la testa per spaccare muri di mattoni e si mangia tutti quei funghi, salvo poi scoprire che la principessa è in un altro castello. Peccato non glielo avesse spiegato nessuno…
Stai scherzando… cioè ha di nuovo sbagliato castello? – cit. La Principessa commentando le eroiche avventure di Super Mario
Mansplaining
Direttamente collegato all’atteggiamento paternalistico c’è poi il “mansplaining“.
La parola è un neologismo preso in prestito dalla lingua inglese. Combina i due sostantivi man (uomo) e explaining (spiegare), dalla cui crasi nasce appunto il mansplaining. Il termine si è diffuso negli ultimi anni, nel contesto del femminismo della quarta ondata e si riferisce alla tendenza di alcuni uomini di:
commentare o spiegare qualcosa ad una donna in modo condiscendente, esageratamente sicuro di sé e spesso innacurato o iper-semplificato.
Con questa parola si indica da qualche anno l’atteggiamento paternalistico di alcuni uomini quando spiegano a una donna qualcosa di ovvio, di cui lei è esperta o ha esperienza, perché pensano di saperne sempre e comunque più di lei.
Ecco un utile test per scoprire se si sta facendo mansplaining:
Fonte: Kim Goodwin
Atteggiamento paternalistico e mansplaining: perché ci danneggiano
In entrambi i casi, e il più delle volte, questi atteggiamenti non nascondono un attacco personale. Descrivono più che altro un comportamento e modo di pensare diffuso nella nostra cultura di matrice patriarcale.
È altrettanto importante capire che non si tratta nemmeno di portare le cose all’estremo rendendo questa una guerra donne contro uomini. Giammai. Non è quello di cui abbiamo bisogno, quanto di una reale equità e un dialogo disteso fra persone (uomini o donne che siano).
Gli effetti di questo comportamento, però, hanno tutto di personale. Il mansplaining o un atteggiamento paternalistico:
- Rende l’interazione asimmetrica; la persona che assume atteggiamenti paternalistici ritiene di conoscere meglio della sua controparte ciò di cui essa ha bisogno in quel momento, relegandola così ad un ruolo passiva.
- Ha una direzione verticale (dall’alto verso il basso) e univoca; non si tratta di un vero e proprio dialogo, bensì di un gioco di ruoli in cui una persona impartisce la propria lezione e l’altra la subisce.
- Sbilancia e mina il potere personale della persona che ne è “vittima”. A quest’ultima quale viene implicitamente fatto capire che “questa situazione non è alla tua portata; ma tranquilla, ci penso io“. Contrariamente alla corrente di empowerment femminile degli ultimi anni, è un gesto fortemente disempowering, che il potere lo toglie.
L’atteggiamento paternalistico può essere infido, persuasivo e persino manipolatorio. E poiché la persona sembra in buona fede e animata da buoni propositi, può essere anche difficile riconoscerlo.
Finché non ci accorgiamo che ci ha spinte in un’area pericolosa.
In cui la nostra professionalità, credibilità e autorevolezza vengono a mano a mano rosicchiate da un eccesso di intromissione di chi si trova dall’altra parte, sicuro si saperla sempre un po’ più lunga di te.
Cosa puoi fare per non esserne vittima
Alcuni consigli per evitare di finire in questa “trappola”:
- Come abbiamo visto: non prenderla sul personale. Cerca di astrarti e di guardare alle ragioni per cui questa tendenza è diffusa.
- Al contempo, però, inizia a farci caso. La consapevolezza può essere fastidiosa, ma ti aiuta a renderti libera. A comprendere perché da certe situazioni o conversazioni esci sempre frustrata, nervosa o disillusa. Ti permette di riacquisire potere, invece di sentirti in balia di una certa situazione.
- Come nel caso di atteggiamenti maschilisti, quando si tratta di episodi non gravi che vuoi comunque far notare, fallo con ironia. Una battuta simpatica e brillante sul collega che ti ha appena spiegato l’acqua calda può far arrivare il concetto molto meglio che una risposta piccata o passivo-aggressiva.
- Se necessario, parla vis-a-vis col collega che, magari inavvertitamente, adotta un certo tipo di atteggiamento. Spiegagli come ti fa sentire, in che modo ti pone di fronte agli altri e l’impressione che il tuo collega ti dà quando si comporta in quel modo. Come detto, qui non si tratta di una guerra; può anzi essere un’occasione per creare una connessione. Attenta però a cercare di inquadrare chi hai davanti; non vuoi certo finire a discutere con qualcuno di permaloso o che prende la tua osservazione come un attacco al proprio ego.
- Se noti che un amico, un tuo familiare o il tuo compagno/marito cade nella trappola del mansplaining, offrigli il tuo punto di vista e spiegagli la tua prospettiva su questa dinamica.
- Se vedi che altre donne nella stanza sono vittime di mansplaining o di un atteggiamento paternalista, fallo presente. In maniera placida, calma e misurata. Un giorno qualcun’altra potrebbe farlo per te.
Alcune frasi salva-situazione?
- Grazie, apprezzo il commento, ho tutto sotto controllo 🙂
- Fammi finire e magari alla fine passiamo alle domande, ok? 🙂
- Marco, questo è un punto interessante, ma vorrei un attimo finire di sentire cos’ha da aggiungere Giulia 🙂
Ma soprattutto, ricorda…
- “Mr. Vice President, I’m speaking… I’m speaking” – cit. Kamala Harris durante il dibattito vice presidenziale.
Lo sapevi che le donne vengono interrotte molte più spesso degli uomini? Non sono solo aneddoti, ma studi e ricerche a confermarlo.
Fai sentire la tua voce e iniziamo a cambiare queste statistiche.
Arli.
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Erio dice
Praticamente ogni interazione tra capo e dipendente per voi ė paternalismo
Arli dice
Ciao Erio, chi può saperlo? Io per fortuna non ne vedo tanti, di sicuro non “in ogni interazione”.
Purtroppo però ci sono non pochi ambienti in cui si trovano diverse “gradazioni” di questi atteggiamenti e rappresentano una perdita per tutti.
Gemma dice
Grazie, grazie, grazie. Parlarne di più !