Il burnout causato dal lavoro è una condizione pericolosa per te, la tua salute e il tuo benessere mentale. Scopri cosa lo causa e soprattutto come curarlo ed evitarlo.
Sicuramente sarà capitato anche a te. Hai presente quando trascorri ore intere accompagnata da un rumore di sottofondo e ti accorgi della sua esistenza solamente quando… finisce?
Ecco. A volte accade lo stesso col burnout da lavoro: ti accorgi di essere in apnea solo quando riesci a riprendere il fiato. O, nei casi peggiori, quando il fiato si spezza e sei costretta ad una brusca frenata.
Le prime volte che ho sentito parlare di burnout da lavoro, con la stessa nonchalance con cui si parla di un fine settimana fuori porta, è stato -non a caso- da colleghi americani. La cultura da workaholic statunitense porta tantissimi professionisti a farne esperienza. E, come tante altre mode oltreceano, ultimamente sembriamo averla esportata anche qui in Europa.
La parola burnout deriva dal verbo inglese “to burn out“, ovvero bruciarsi, esaurirsi.
Il burnout è proprio questo: uno stato di completo esaurimento e logorio a livello fisico, mentale ed emotivo.
Un libro interessante sul tema che ho letto di recente è “Burnout: Solve Your Stress Cycle“. Mi è piaciuta soprattutto l’attenzione che le autrici mettono sul modo particolare in cui il burnout colpisce le donne (di cui parleremo a breve nell’articolo).
Burnout: ma che cos’è, di preciso?
La definizione originale del termine burnout risale al 1975 e fu inizialmente associata a professioni sanitarie e assistenziali. Pensa allo stress cui viene sottoposto chi si cura di malati terminali. O quello che il sistema sanitario di ogni paese si è trovato a dover affrontare con la pandemia globale.
Ormai da anni, però, la sindrome da burnout viene riconosciuta in qualunque altro contesto lavorativo che abbia forti condizioni stressanti e di responsabilità. E include tre elementi:
- Stanchezza emozionale: sei così prosciugata da sentire di non avere più nulla da dare. Deriva spesso dall’occuparsi o tenere a qualcosa (un progetto, un ruolo, una visione…) fin troppo e troppo a lungo.
- De-personalizzazione: l’esaurimento di sentimenti come l’empatia, la compassione, la cura o pazienza verso cose e persone.
- Diminuito senso di realizzazione: un sentimento pervasivo di inutilità, come se nulla di ciò che fai facesse la differenza. Hai presente quando hai voglia di gettare la spugna e dentro di te ti fai domande come “Perché perderci tempo?”, o “Ma a che serve?”.
In oltre 40 anni, le ricerche hanno dimostrato che è soprattutto lil primo punto -la stanchezza emozionale- ad avere l’impatto maggiore sulla nostra salute, lavoro e relazioni.
Questo vale in particolare per le donne. Nel nostro caso il burnout è acuito dal fatto che la società si aspetta che siamo naturalmente portate a dare e sacrificarci (che si tratti del nostro lavoro, tempo, impegno fisico o relazioni).
In quanto esseri sacrificali concentrati sempre sul benessere e le emozioni altrui, spesso alle donne viene in qualche modo negato lo spazio per le proprie emozioni.
Sai come definiscono l’ansia le autrici del libro?
Ansia: il risultato di stress che si accumula giorno dopo giorno e che sembra non finire mai.
La sensazione di trovarsi con le spalle al muro senza sapere cosa fare per uscirne.
A meno che non ne conosci le cause e alcune soluzioni…
Burnout da lavoro: le due cause principali
Gli agenti stressanti di ogni giorno (cosiddetti stressors) possono essere:
- Esterni: il lavoro, i soldi, la famiglia, il poco tempo, le norme e le aspettative della società, le discriminazioni (qualcuno ha detto “maschilismo al lavoro“?)
- Interni: pensa all’auto-critica, agli standard che ci auto-imponiamo a livello di immagine corporea, all’ansia sul futuro e su quale sia il nostro “posto nel mondo”.
Quando abbiamo a che fare con situazioni percepite come di pericolo o minaccia, rispondiamo con lo stress; un cambiamento neurologico e fisiologico che avviene proprio nel corpo. Senza nemmeno accorgercene il battito accelera, la pressione sanguigna aumenta, il respiro si fa corto, i muscoli diventano tesi.
Precipitiamo in uno stato vigile e di allerta concentrato sull’immediato, che appiattisce la prospettiva futura e ci rende incapaci di vedere oltre il nostro naso.
E qui è importante fare un distinguo: confrontarsi con la causa dello stress non è infatti lo stesso che risolvere lo stress.
A volte possiamo risolvere la situazione stressante, ma il nostro corpo rimane ancora incastrato nello stress fisico. La nostra pressione sanguigna è ancora alta, la nostra capacità di ragionare lucidamente ancora diminuita.
Questo può avere ripercussioni serie sulla nostra salute, causando anche patologie cardiache.
Per assurdo, la nostra salute oggi è messa più a rischio dallo stress in sé che dagli agenti stressanti (confrontarti col collega cafone, per quanto stressante, è sicuramente un agente stressante meno pericoloso che essere attaccati da un leone, come nel caso dei nostri antenati).
Questo perché siamo abituati ad intervenire sulla causa di stress, ma ben di rado sullo stress in sé.
Le emozioni e il ciclo dello stress
Al loro livello più essenziale, le emozioni altro non sono che un rilascio di sostanze neuro chimiche nel nostro cervello in risposta ad uno stimolo.
Lasciate a se stesse, le emozioni -queste risposte istantanee che coinvolgono il nostro intero corpo- muoiono semplicemente così come nascono.
Le emozioni sono dei come dei tunnel; se lo attraversi, alla fine arrivi alla luce.
Al contrario, quando rimaniamo bloccate in una data emozione, le risposte più comuni diventano stanchezza e burnout. Le ragioni possono essere diverse:
- Agenti stressanti cronici: rimaniamo bloccate nella nostra risposta allo stress perché siamo invischiate in una situazione che attiva lo stress continuamente, senza darci tempo, modo e fiato per processarlo.
- Appropriatezza sociale: a volte il cervello attiva una risposta allo stress che ti trovi a mettere in muto. Perché ad esempio l’agente stressante è il cliente la cui parcella ti aiuta a pagare affitto e bollette. A volte è il resto del mondo a dirti che è sbagliato ciò che senti; “non è carino”, “non è educato”, “non è appropriato”, “è da deboli”. Così sorridi e ingoi le tue emozioni come un boccone amaro, come se valessero meno della persona che hai di fronte.
- Sicurezza: davanti ad un commento ambiguo del capo, o un commento appropriato per strada, per una donna la cosa più semplice è spesso semplicemente sorridere, o far finta di niente ed andare avanti.
Per risolvere lo stress, occorre non solo mettere a bada l’agente stressante, ma anche attraversare l’emozione che ha generato. E rispondere al bisogno del nostro corpo di completare il ciclo dello stress.
Facendogli arrivare un messaggio limpido e chiaro: va tutto bene, sei al sicuro.
Come riconoscere il burnout da lavoro?
Ci sono diversi segnali che il corpo ci invia per combattere il burnout da lavoro. Ad esempio:
- Il tuo cervello è diventato un disco rotto. Ripeti le stesse attività varie volte, o cominci ad adottare comportamenti distruttivi. È il segnale che lo stress ha sopraffatto l’abilità del tuo cervello di far fronte all’evento stressante in maniera razionale.
- Perdi facilmente le staffe, a volte per un nonnulla. Come una pentola a pressione, sopporti a lungo finché all’improvviso non scoppi nel peggiore dei modi.
- Evitare . Evitare il lunedì, di aprire il computer, le email infinite, i mille messaggi in chat, le riunioni di cui hai perso il conto… Tutto quello che vorresti fare è nasconderti sotto le coperte o anestetizzarti con intrattenimento e cibo spazzatura.
- Il tuo corpo è completamente fuori sync. Ti ammali spesso, anche semplici raffreddori, gonfiori, bruciori, infezioni o contratture che continuano a ripresentarsi.
Ricorda che lo stress è un evento biologico che avviene all’interno del tuo corpo.
La citazione latina mens sana in corpore sano è oggi più valida che mai.
L’obiettivo di combattere il burnout non è quello di sentirci meno stanche e sopraffatte, ma di crescere in ogni area della nostra vita (a livello fisico, psicologico, mentale e spirituale). Equipaggiate con tutto il necessario per affrontarne le varie sfide.
Prosperiamo quando abbiamo un obiettivo positivo e specifico da raggiungere, non uno stato negativo da cui fuggire
Cambia marcia con queste 5 soluzioni
1. Muoviti (I like the way you move it, move it!)
Cosa facevano i nostri antenati quando venivano rincorsi da un leone? Correvano.
Cosa possiamo fare oggi quando siamo rincorse da scadenze, urgenze e fattori stressanti?
Correre.
Letteralmente.
Correre, ballare, pedalare, pattinare, nuotare, remare… A te la scelta, purché ti muovi fra i 20 e i 60 minuti.
Ogni quanto? Idealmente ogni giorno. Del resto lo stress si accumula quotidianamente, ragion per cui dovremmo chiudere il ciclo di risposta allo stress ogni giorno prima di concludere la giornata.
L’attività fisica è la strategia più efficace per chiudere il ciclo.
Ricorda: il tuo corpo non sa cosa voglia dire “preparare il 730” oppure “avere quella discussione col collega cafone“. Sa però cosa vuol dire muoversi.
Parla la sua lingua, il body language, e il messaggio arriverà forte e chiaro al tuo cervello: il tuo corpo è un posto sicuro per te in cui vivere.
2. Respira
Respiri lenti e profondi sono un ottimo modo per rientrare in contatto con te stessa nel momento presente. Io utilizzo un reminder sul mio Apple Watch per ricordarmi di prendermi 1 minuto di respiro ogni 2 o 3 ore.
Tu puoi inserirlo nel tuo calendario, oppure tenere 3 post-it sullo schermo del computer da rimuovere ogni volta che ti prendi un momento di mindfulness durante la giornata 🙂
3. Crea interazioni sociali positive
Quest’anno ci ha messo a dura prova sotto questo aspetto. Ma anche lavorando da casa e in lockdown, ci sono tante piccole interazioni che possiamo creare per ricordarci che, in fondo, il mondo in cui viviamo è un posto sicuro in cui vivere.
- Bastano un sorriso al barista che ti offre il caffè (un volto sorridente si riconosce anche sotto la mascherina).
- Un messaggio su Slack o la chat aziendale per chiedere ad un collega come sta.
- O una call di 10 minuti per sentire una persona che fa parte della tua vita.
Nella fintech in cui lavoro ho introdotto le “Donut Calls” tramite Slack. Un sistema che accoppia i membri del team in maniera randomica per una “donut” (pausa ciambella) dal lavoro. Durano dai 15 ai 30 minuti e si può parlare di tutto tranne che di lavoro 😉
4. Dimostrazioni di affetto
Un bacio di sei secondi, o un abbraccio di venti secondi, bastano a darti il boost di ossitocina di cui hai bisogno per rilasciare un po’ di stress.
Perché proprio 6 e 20 secondi? Sotto quel numero si tratta di un’interazione troppo veloce e “formale” per sortire tutti i suoi effetti. Accade lo stesso quando accarezzi un cane o un gatto per qualche minuto.
Lanci al tuo cervello il messaggio che puoi chiudere il ciclo dello stress. Sei arrivata “a casa” e sei al sicuro.
5. Ridi o piangi (o ridi e piangi se proprio te la vedi brutta :))
Hai presente la sensazione che hai dopo una lunga risata, di quelle ti fanno venire le lacrime agli occhi? O, al contrario, di quando scoppi in un pianto incontrollato, salvo poi sentirti immediatamente ricaricata e ripulita dalle scorie emotive? Un po’ come accade ai bambini che dopo un pianto apparentemente disperato tornano a ridere e giocare come se nulla fosse.
È piuttosto probabile che il tuo pianto non abbia risolto la situazione che ha causato lo stress, ma ti ha permesso di completare il ciclo e di ripulirti delle scorie emotive.
Chi sostiene che piangere non risolve nulla evidentemente non conosce la differenza fra risolvere lo stress e risolvere la situazione stressante.
Non rifuggire né dal pianto né dal riso (…tanto meno dalla pizza, mi verrebbe da dire :D).
Ci sono tanti altri modi di combattere il burnout da lavoro.
L’unica certezza è che, per riuscirci, occorre fare qualcosa.
Dire a se stesse che è tutto ok, che va tutto bene, mette solo un cerotto sulla ferita.
Certo, è meglio che parlarsi in maniera critica o ansiosa, ma ricorda che completare il ciclo dello stress non è una decisione che prendi a livello intellettivo.
È uno shift, un cambiamento a livello fisiologico.
Chi non si muove non muove niente
Come ti accorgi di aver chiuso il cerchio? È il tuo stesso corpo a comunicartelo. Può trattarsi di un cambiamento a livello di umore, stato mentale o sensazione fisica.
Senti la tensione che si dissolve lentamente, e ritorni gradualmente a sentirti padrona del tuo corpo e presente a te stessa.
Presta attenzione a quelle attività che ti fanno sentire leggermente meglio rispetto a quando le hai iniziate.
Ti accorgerai che qualcosa nel tuo corpo è cambiato; spostandosi dall’ansia, il risentimento e la preoccupazione ad un maggiore stato di quiete e tranquillità.
A livello intuitivo il nostro corpo sa cosa ci fa stare bene.
È per questo che a volte quando siamo sotto forte stress mettiamo addosso il giubbotto e andiamo a fare una lunga passeggiata. O ci lasciamo andare ad un lungo pianto.
Solo che spesso perdiamo quell’importante canale comunicativo. Il che ci porta all’ultimo punto di questo articolo.
Segnalo nel calendario
Nel mio caso, l’ho resa un’espressione di uso giornaliero. Quando il mio ragazzo mi chiede come mai sto uscendo per una camminata così tardi dopo una giornata di call continue, gli rispondo letteralmente che “devo chiudere il ciclo dello stress“.
Lo stress è qualcosa di cui facciamo esperienza ogni giorno, per questo dovremmo chiudere quel ciclo ogni giorno.
E renderla una priorità come se la nostra stessa vita dipendesse da questo.
Perché, come hai letto all’inizio, in effetti è proprio così.
Lo stress in sé non è il male assoluto. La parte negativa è rimanere bloccata in quello stress, in quelle emozioni.
Quando acquisisci questo super potere, il tuo corpo, la tua mente, il tuo spirito, diventano un posto sicuro e la tua protezione anche quando ti trovi in una situazione di incertezza o difficoltà.
Il benessere non è vivere in uno stato di perenne calma, ma l’abilità di muoversi in maniera fluida da uno stato di difficoltà, rischio, eccitamento o preoccupazione ad uno stato di sicurezza e calma.
E poi di nuovo.
Questo movimento e questo ciclo è parte del nostro essere umani. Ma il benessere non è uno stato dell’essere, quanto uno stato del fare.
Prenditi cura di te.
Arli.
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