“Cronache di Arli” è la nuova rubrica dedicata alle mie disavventure lavorative e di viaggio (ma non solo). Oggi ti racconto del mio recente viaggio in Polonia e della volta in cui…
Se c’è una cosa che mi piace sperimentare quando sono all’estero (escludendo per un attimo tutto quel che riguarda l’ambito culinario), è imparare alcune parole della lingua del posto e usarle per l’intera durata del viaggio in improbabili conversazioni con la popolazione autoctona.
Forse mi succede perché a 16 anni vidi il discorso che Kennedy fece a Berlino nel ’63. Quello che iniziò con l’ormai celebre incipit: “Io sono berlinese“, in una piazza gremita e una folla in visibilio.
Da allora, per qualche ragione, ho sempre voluto emularne le gesta.
Io sono Berlinese (ma anche no)
Così, fedele al mio proposito, la prima volta che ho visitato Berlino non ho certo esitato a cogliere l’occasione. Con tono trionfante e anche un po’ compiaciuto, uscita dall’aeroporto ho subito detto al tassista tedesco: “Hi! Ich bin ein Berliener!😏 “. Ovvero “Ciao, io sono Berlinese!” – e pure un po’ rimbambita, avrà pensato lui.
E invece no. Il tassista, poverino, mi ha guardata per qualche secondo con aria stranita, salvo poi esclamare: “No English no. Google! Show place”.
Io, francamente, all’epoca non lo sapevo che Google fosse anche una lingua; ma si sa che nella vita non si finisce mai di imparare. E infatti, di fronte alla sua reazione, quel giorno imparai che probabilmente la mia pronuncia del tedesco era un po’ da affinare.
Viaggio in Polonia: da Londra a Cracovia
Avanti veloce al mio primo viaggio in Polonia, precisamente Cracovia, che raggiungo per lavoro.
“Evvai!” mi dico “Finalmente avrò l’occasione di usare la parola polacca gjindobri (buongiorno) che mi ha insegnato quel ragazzo polacco anni fa a Malta. E anche “gjinkuje” (grazie), che mi ha insegnato il mio collega di Varsavia l’altro giorno in call”.
Ma si sa, io sono una persona molto fortunata.
Non faccio in tempo a toccare suolo polacco, infatti, che già durante il volo ne imparo una terza. La terza parola polacca che imparo è “njemozhna“. Njemozhna è la parola che una dolce nonnina seduta accanto a me in aereo, ha continuato a ripetere per tutto il tempo (cantilenandola), ad una urlante nipotina neonata.
Credevo si trattasse di un vezzeggiativo amorevole, invece più tardi mi hanno spiegato che significa “non si può“.
Peccato non averlo saputo prima, o avrei spiegato alla nonna della nuova Maria Callas che: “Signò, njemozhna dire njemozhna ogni 2 minuti durante un volo di 2 ore. ‘Sta bambina non ha nemmeno 3 mesi. Si rende conto che quando compirà 1 anno le chiederanno come si chiama e lei risponderà non si può?”
E insomma. Le 2 ore passano e con esse anche l’idea che ho di me stessa di essere una persona paziente. Atterro con in mano il mio trolley, in mente le mie 3 parole polacche e nel cuore l’idea incipiente che forse questa storia di avere figli sia un po’ sopravvalutata.
Fischi per fiaschi e njemozhne per gjindobri
Passo a Cracovia 3 giorni e mezzo. E non so se sia la poca familiarità con la lingua o la voce della nonnina che, con aria spiritata, sento ancora risuonare nella mia mente ogni sera prima di andare a dormire (“njemozhna, njemozhna…”).
Fatto sta che queste 3 parole iniziano a confondermisi in testa. Non ricordo più cosa significhi cosa.
Questo ferma forse il mio animo intrepido e wannabe-poliglotta? Ma certo che no!
Del resto lo diceva anche Shakespeare “Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo“.
E se invece chiami la nonnina dell’aereo, pure con un altro nome quella sempre “Njemozhna” ti dirà.
Forte di questa verità, in poco più di 3 giorni sono riuscita a dire:
- “Sì, grazie” alla cassiera a cui avevo dato 10 zloty invece che 100
- “Buongiorno!” entrando al ristorante per cena alle ore 21
- “Non si può!” alla receptionist che mi aveva solo augurato buongiorno
Insomma, che posso dire di questo viaggio in Polonia?
È piuttosto evidente che non sono berlinese.
Non sono polacca.
E probabilmente non sono nemmeno tanto portata per le lingue.
Alla prossima, Cracovia. Se tornerò?
🎵 Grazie prego scusi non si può!
NJEMOZHNA, amici!
Ehi, non permettere mai a nessuno di dirti NJEMOZHNA, neanche a me! Ok? Se hai un sogno, tu lo devi proteggere. Quando le persone NJEMOZHNA, lo dicono a te che NJEMOZHNA. Se hai un sogno inseguilo. Punto. – La ricerca della felicità (versione polacca)
[Questo racconto è stato gentilmente offerto da “Non avevo alcuna voglia di lavorare durante il volo punto com” – Tutte le foto sono state scattate dalla sottoscritta]
Attenzione!
Diversi vocaboli della lingua polacca sono stati brutalmente maltrattati durante la stesura di questo post. Fonti accreditate mi hanno fatto notare che, in termini tecnici, non ne ho azzeccata una per quel che riguarda la sintassi delle parole. Si ringraziano dunque, in ordine di apparizione:
“Dziekuje” nel ruolo di “Gjinkuje”
“Dzień dobry” nel ruolo di “Gjin dobri”
E con la partecipazione straordinaria di “Nie można” nel ruolo di “Njemozhna”. E così sia.
Luca dice
Il tuo dare è meritevole, Arly
Arli dice
Ciao Luca, grazie davvero, lo apprezzo molto.