Sabina Belli, CEO di Pomellato, nel suo nuovo libro su donne, leadership e carriera ci racconta come navigare le sfide lavorative e personali. Un libro che ogni professionista dovrebbe leggere.
Arrivare a diventare CEO di un’azienda, significa già di per sé entrare a far parte di un’élite ristretta e super esclusiva.
Vuol dire aver raggiunto l’apice del management e della carriera aziendale. Aver lavorato in favore di un obiettivo che richiede anni di studio, preparazione, risultati, di capacità di comunicare, influenzare, prevedere… di saper muovere la nave e tutto il suo equipaggio verso un obiettivo comune. Con tenacia, pensiero strategico e abilità.
Arrivare a diventare CEO di un’azienda significa già di per sé entrare a far parte di un’elite ristretta e super esclusiva.
Se poi ad arrivarci è una donna, quella cerchia diventa ancora più ristretta. Ancora più esclusiva. Perché (udite udite!) meno del 5% degli amministratori delegati a livello globale è donna.
Meno del 5%! Significa che, se mettessimo 100 CEO in una stanza, appena 4 di loro sarebbero donne contro ben 96 uomini.
È facile comprendere quanto un simile retaggio e status quo non faciliti di certo l’ascesa al ruolo di CEO di altre donne.
Sabina Belli è una di quelle.
Ha lavorato per più di 35 anni nel settore lusso per brand come Bulgari, Dior, Moët e infine Pomellato, di cui è attualmente amministratore delegato.
E nel suo libro “D come Donna, C come CEO – Dizionario di Leadership al femminile” racconta, in una serie di parole-chiave che spaziano dalla gestione di un’azienda a quella di una famiglia, quali sono stati gli elementi che le hanno permesso di arrivare così in alto nella sua carriera.
È un libro che ho apprezzato non tanto per lo stile o la forma, quanto per la generosità di una professionista del suo calibro ed esperienza nel voler condividere con altre persone -e con altre donne in particolare- i “segreti” che stanno dietro al suo successo.
Generosità di intenti e di fatti, considerato che i diritti d’autore del suo libro vengono devoluti all’associazione CADMI, Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate.
Quando si dice “predicare bene e razzolare bene”.
Perché il libro di Sabina Belli è (principalmente) rivolto alle donne?
Lo abbiamo visto. Se sei una donna, nel 2019 hai meno del 5% di chance di poter diventare amministratore delegato di un gruppo o di un’azienda. Sappiamo bene anche quanto il gender gap fra uomini e donne sia tutt’ora ampissimo.
E Sabina non gira troppo intorno al perché. Anzi, dall’alto di una visione privilegiata che condivide generosamente con lettori e lettrici, evidenzia bene il problema e le sue cause:
“Nel management, i valori del maschile sono largamente sviluppati, ammessi e indiscussi. Quelli del femminile sono spesso bollati come inadeguati al mondo del lavoro. Sono dinamiche che esistono in modo tacito e non formale. Una società dove principi culturali atavici continuano a imprimere differenze comportamentali di genere. A volte le donne non si sentono abbastanza equipaggiate per capire come entrare in parità in modo fiducioso e convinto“.
Approcciarsi al mondo del lavoro in modo fiducioso e convinto.
Non solo molte donne non si sentono equipaggiate per farlo, ma quando anche ci provano si scontrano spesso e volentieri con ostacoli extra da affrontare.
Sabina ne evidenzia diversi e propone la sua esperienza, le sue riflessioni e punti di vista come base per una conversazione sul tema.
Il risultato è una serie di parole chiave che hanno accompagnato la sua carriera e in cui ognuno troverà spunti più o meno utili a seconda del periodo in cui si trova. Ecco quelli che ho apprezzato maggiormente e che riporto qui sotto aggiungendo note e suggerimenti personali.
Dizionario in ordine sparso della Donna in Carriera
1. Sii brave*, non brava
(*brave = “coraggiosa” in inglese)
Sei stata educata, come tante altre donne, ad essere un’esecutrice diligente e scrupolosa? Ad essere una brava allieva, fra i banchi di scuola e le scrivanie di un ufficio?
È tempo di uscire un po’ dalle righe.
Ricorda che se aspetti la pacca sulla spalla di qualcuno per validare le tue idee e iniziative, dipenderai sempre da quel qualcuno. Il tuo lavoro avrà il limite di essere aridamente scolastico e privo di vivacità, il risultato del pensare in piccolo.
Allena la tua libertà di pensiero. Allenati a dire quello che c’è da dire, prendendoti il rischio di essere impopolare o anche di metterti in una situazione difficile. La tua sfida non dev’essere arrivare a 100 solo perché così impone la società. Ma arrivare a 70 se ora sei a 66. O a 86 se ora sei a 81. Se ci pensi, sai bene quali sono le aree in cui vuoi migliorare. Qualunque sia la tua sfida, affrontala con quel pizzico di audacia in più che prima d’ora non ti eri concessa. Ricorda:
Il mare calmo non ha mai reso il marinaio esperto
E a proposito di marinai…
2. Anticipa
Un po’ come accade con i navigatori, è proprio quando le condizioni climatiche sono buone che bisogna prepararsi ad affrontare la burrasca. Vale se sei il CEO di un’azienda che fattura centinaia di milioni, se sei appena uscita dall’università e devi costruirti il tuo percorso o se hai deciso di prenderti uno stop dal lavoro per avere il tuo primo figlio.
Come si fanno ad allenare le nostre doti di anticipazione? Sabina fornisce due consigli:
- Staccati dal dettaglio dell’operatività quotidiana per avere anche una prospettiva globale delle cose. È qualcosa che la donna “brava” e non “brave” dimentica troppo spesso, presa com’è dall’eseguire con diligenza i compiti che le vengono assegnati.
- Identifica i segnali, anche piccolissimi, che possono nel tempo trasformarsi in un pericolo. Per converso, aggiungerei, si può fare lo stesso anche nel captare i segnali positivi che possiamo trasformare in opportunità per noi stesse.
Citando il libro “L’errore umano” di James Reason, l’autrice ci ricorda che “tutti i più grandi errori umani sono stati commessi per immodestia di ragionamento, perché ci si è arrestati solo al primo livello di informazioni. La mente umana si abitua a una visione, magari parziale, ma serve prendere la lente e guardare con attenzione tutti gli aspetti (micro e macro)“.
Pensaci, la prossima volta che affronti un problema o una nuova sfida.
3. Carriera
Questo capitolo mi ha confermato qualcosa che sostengo da tempo. Ovvero che:
“Oggi la carriera intelligente si costruisce in modo discontinuo. Ha una progressione verticale, un passaggio laterale, un periodo di fermo, un salto. A volte si fanno scelte per aumentare competenze anche se non crescono stipendio, titolo, taglia dell’ufficio. Si farà un salto più lungo dopo”.
Quello che l’autrice consiglia è anche di fare i conti con la propria ambizione. Stando cioè attenti a non bruciare certe opportunità per la smania di voler passare al passaggio successivo senza la necessaria preparazione.
Suggerisce quindi di stare attente ad identificare i momenti giusti e avere la giusta dose di pazienza che serve per esprimere in modo sereno la propria competenza.
Postilla personale: attenzione! Se ti trovi nel versante opposto, se ultimamente hai messo a tacere la tua ambizione e tergiversi nel fare quel salto per paura, indecisione o timore di non essere pronta, questo consiglio per te non vale. Anzi: fai l’esatto contrario di quanto suggerito 😉 Hai già aspettato abbastanza.
4. Empatia
Ho molto apprezzato quanto la CEO di Pomellato ponga l’attenzione sull’importanza di due elementi: empatia e ascolto attivo. Due qualità che vengono generalmente identificate come “femminili” e di cui avremmo invece tanto bisogno da ogni parte.
- L’empatia, in ambito professionale, significa saper riconoscere, capire e valorizzare i vari tipi di persone con cui si lavora. Sabina Belli dipinge i ritratti di diversi “personaggi” tipo del mondo lavorativo. C’è ad esempio la baby diva, che affronta ogni cosa con una forte componente emotiva, senza prendere le distanze dal lavoro e vivendo tutto in maniera personale e parziale. C’è “la bravona“, la scolara seria, coscienziosa e perfettina che “avrebbe potuto fare un salto se non fosse rimasta attaccata al libro, se avesse avuto un guizzo, un momento di disubbidienza e creatività, liberandosi del suo perfezionismo“. Per ogni persona con cui ci ritroviamo a lavorare possiamo identificare i loro pro e contro, sia a livello professionale che personale, e imparare come relazionarci al meglio.
- L’ascolto attivo è un’arte che presuppone umiltà e generosità. Significa ascoltare senza interferenze, ignorando la voglia di interrompere o di lasciarsi distrarre da stimoli visivi periferici (il collega che passa, lo schermo del telefono che si illumina…). Facendo sentire alla persona che ha tutta la nostra attenzione e che in quel momento è tutto ciò che per noi conta. La parte più bella? “L’ascolto altrui finisce anche col diventare un ascolto di Sè“.
Postilla personale: se sei abituata ad ascoltare tanto ma a parlare poco, rifletti se per te non sia il caso di fare l’esatto opposto. A volte per far emergere certi talenti serve ascoltare, altre volte però occorre parlare, articolare e dare voce alle proprie idee. Non sono certo mutualmente esclusivi, anzi servono entrambi.
5. Geografia
Viviamo in un mondo globalizzato e iper-connesso, che da piccolo sta diventando enorme ma insieme anche minuscolo. E al di là di alcune correnti politiche che mirano a creare muri invece che ponti, chiusura invece che apertura, è fondamentale sapersi interfacciare con altri paesi e culture. Usando le parole della stessa Sabina:
“Ho trascorso quasi tutta la mia vita altrove e un po’ dappertutto, pensando, forse con un po’ di presunzione, di aver acquisito uno sguardo globale, riuscendo a vedere la big picture e il particolare. Esercizio che va bene per tutti, anche senza spostarsi dalla sedia: imparare a usare sia il binocolo sia il microscopio, ma soprattutto sapersi adattare e trarre profitto da tutte le culture per arricchirsi con curiosità”
6. Grandi gruppi
“Meglio lavorare in un’azienda piccola o in una grande?” è una domanda che mi sento rivolgere spesso. L’autrice del libro, avendo sempre lavorato per grandi gruppi, fa un’analisi dei benefici che derivano dal lavorare in questo contesto. E suddivide questi benefici in due macro-categorie:
- Way of working. Con le sue parole: Lavorare in grandi aziende crea una base solida nel modo di lavorare. Si acquisiscono metodo e capacità di analizzare, sintetizzare, organizzare. Di creare strategie e visioni. È un percorso molto accompagnato che insiste sull’apprendimento di metodi, processi, strutture e tecniche. Nonché su aspetti razionali, quantificabili, obiettivi, esecutivi, misurabili. È una cornice determinata, ma abbastanza ampia da lasciar sviluppare un libero pensiero, paradossalmente più libero di quanto lo sarebbe senza paletti, il che rischierebbe solo di produrre disordine e nessun contenuto. Si sviluppa un pensiero camaleonte, che assorbe dal suo interlocutore ma mantiene la sua identità.
- Spirito imprenditoriale. Metti insieme la cornice offerta da una grande azienda e la capacità di stimolare l’aspetto più imprenditoriale nei manager: bingo! Quando si incoraggiano le persone a gestire il marchio di cui sono responsabili come fosse loro e a scegliere gli investimenti da fare in modo che portino ai migliori risultati, si crea uno spazio di libertà che è un valore eccezionale nel mondo del lavoro. E porta con sé passione, piacere, soddisfazione personale e attaccamento alla propria professione.
Nota personale: purtroppo non in tutte le aziende le cose vanno così. Anzi, spesso l’iniziativa personale viene castrata da manager e dirigenti poco lungimiranti o da un’organizzazione che accentra il potere nella mani di pochi. È un limite troppo invalidante per costruire una carriera soddisfacente. Il mio suggerimento è sempre quello di farsi avanti e prendere l’iniziativa, o valutare se siamo nel posto davvero giusto per noi.
Deve arrivare il momento in cui preferiremo chiedere scusa, invece che permesso. Altrimenti rimarremo sempre confinate nello spazio di un quadrato in cui c’è poca possibilità di crescita.
7. Impatto
Ci sono tanti modi di valutare l’operato di un CEO e sicuramente la valutazione inizia dai risultati che ottiene. Per Sabina l’impatto del nostro lavoro e delle nostre azioni è misurabile sempre; a tutte le ore, giorni e anni della carriera. E aiuta a rinnovare l’interesse per ciò che si fa. Mi è piaciuto molto questo approccio mentale, perché rimuove la staticità e rimette il potere nelle nostre mani.
Certo, valutazioni formali dai superiori sono sempre necessarie, ma nulla ci vieta di farlo anche in autonomia, dandoci obiettivi spezzettati e fissando i nostri personali indicatori. Se ti ricordi, è lo stesso consiglio condiviso dal vicepresidente di Google EMEA di cui ti avevo parlato qui.
Le iniziative e le intuizioni personali possono infatti produrre cambiamenti insospettati. Ed è possibile farlo a qualunque livello, non importa se si sia stagisti o CEO. Ricordo ad esempio che quando ho iniziato a lavorare in Maserati verso la fine del mio master in International Management, ho suggerito di introdurre in azienda gli A/B test, supportando il tutto con case studies e ricerche personali. Ho preso qualcosa che avevo studiato nel mio tempo libero e l’ho applicato nel contesto in cui lavoravo. L’iniziativa è stata accolta positivamente e alla fine i risultati hanno parlato da soli.
8. Stile e salute
Su questo l’autrice ha le idee chiare. Il nostro look, oltre che una forma di rispetto, rappresenta uno degli elementi cruciali nel determinare il nostro posizionamento in società e nell’organizzazione in cui operiamo.
Una posizione su cui molti si scontrano, ma che lei difende a spada tratta, in particolare lavorando nel mondo del lusso. Ma attenzione, non si tratta solamente di un aspetto frivolo e superficiale. Va più in profondità; ha a che fare con una cura di sé che è basilare per la nostra efficienza e l’immagine che trasmettiamo.
E il rispetto verso se stessi e gli altri comporta l’impegno di mantenersi in forma, così da poter assicurare resistenza, oltre che salute mentale e fisica. È dunque importante che il nostro “capitale fisico” (espressione decisamente da CEO 🙂) sia sempre al meglio.
Così tanto che lo inserisce anche nell’elenco di caratteristiche che, secondo la sua esperienza, definiscono un buon leader. Eccole qua:
9. Leadership
Leggendo questa lista, prova a fare un gioco e a riflettere su quali elementi possiedi e quali no. Oppure a metterli in ordine secondo una scala decrescente. Chissà che non sia il momento di iniziare a lavorare su quelli in fondo alla lista 😉
Dimostrare leadership richiede diversi elementi, questi sono quelli che identifica la CEO di Pomellato:
- Un”physique du role”, grande energia fisica e mentale.
- Ottimismo: i leader sono fornitori di speranza.
- Saper rimanere calmi e composti, senza cedere a pressione o avversità. Il panico è tossico per sé e per gli altri. In caso di allarme: respirare!
- Capacità di allineamento con il team e una comunicazione chiara sugli obiettivi, la visione, la strategia e i piani.
- Saper distinguere la differenza fra autorità e autorevolezza e fare leva sulla seconda, più che sulla prima.
- Avere fiducia in se stessi.
- Dimostrare rapidità e reattività.
- Divertirsi: rallegrarsi del privilegio di essere circondati da cultura e intelligenza.
- La capacità “to deliver“: di dire quello che si intende fare -e di farlo!- portando i risultati annunciati.
10. Millennial*
*Millennial = generazione che, nel mondo occidentale, è nata fra i primi anni ottanta e la fine degli anni novanta.
Pubblicare contenuti, articoli e analisi sui millennial, sul loro non saper stare al mondo e sul loro esigere privilegi prima ancora di essersi guadagnati i propri diritti, sembra quasi la moda degli ultimi anni.
L’osservazione di Sabina Belli su questa generazione è che manchi di savoir vivre. Che travalichi spesso il confine fra l’essere cool e l’essere maleducati, con effetti deleteri sulle relazioni commerciali. In questo include comportamenti tipo: non sapersi relazionare, trascurare di inviare email di ringraziamento, scrivere in maniera sgrammaticata…
Appartenendo alla categoria dei millennial io stessa, credo sia interessante leggere queste osservazioni in ottica critica e insieme costruttiva. Quasi come un feedback che riceviamo dalla generazione precedente e che dovremmo accogliere coi dovuti filtri (ad esempio rimuovendo la patina nostalgica del “Aaah, ai miei tempi… si stava meglio quando si stava peggio!” :)).
Non solo, alle mie colleghe e colleghi millennial consiglio di iniziare a guardare con attenzione alla generazione Y (quella immediatamente successiva). Perché saranno loro le persone con cui passeremo le nostre giornate in ufficio e che dovremo guidare e motivare come capi, responsabili o manager.
11. Maternità e Work Life Balance
Della sezione dedicata all’essere madre e donna in carriera, ho apprezzato l’estrema sincerità. Quante volte avete sentito una donna, in Italia, dichiarare tanto apertamente e candidamente quanto segue?
“Ammetto che tanti aspetti della vita di una madre coi figli mi annoiano molto. Ho delegato volentieri i pomeriggi passati a giocare a Monopoli“.
Un’onestà sull’argomento a cui non siamo abituati e che cozza prepotentemente con il modello di mamma-chioccia italiano. E che probabilmente mette un bel punto sulla questione del “come fare a far tutto”. La risposta? Non si può fare tutto. Si possono però prendere delle posizioni e degli impegni con le noi stessi e chi ci circonda.
- Con se stesse. Se si ha l’ambizione e l’intenzione di crescere professionalmente, occorre iniziare a pensare in parallelo alla futura struttura e modalità familiare. Non esiste una carriera di successo senza una organizzazione eccellente e una mentalità fortemente pragmatica riguardo a casa, figli e famiglia. Questo include anche anticipare quella che Sabina chiama “una forma di delega della maternità“. Un atteggiamento che sicuramente non fa per tutti. Ma riconoscerlo con onestà, e rispettare le scelte altrui, quello sì è utile a tutti.
- Con il partner: a volte ho l’impressione che la parità parta… dai piatti. Dai piatti da caricare in lavastoviglie a fine cena, dalle faccende da sbrigare, dai compiti da dividere. Perché se la donna si sobbarca l’80% dei compiti di casa e il 90% della cura dei figli, quando le resterà tempo per sé, per le sue passioni e interessi, per non parlare del suo lavoro e carriera?
Sabina ricorda di essere stata sempre sostenuta in maniera impagabile dall’ex marito nella sua volontà di realizzazione professionale e nella crescita delle loro tre figlie. Ed è quello, guarda caso, che sostengono tantissime altre donne arrivate ai piani alti (fra le primissime Sheryl Sandberg, che alla questione ha dedicato un intero capitolo del suo libro). Insomma quando decidete che percorso professionale volete prendere, state anche attente all’uomo che scegliete 😉
Non c’è nessun’altra persona più capace di distruggerci di quella che decidiamo di sposare – Alain De Botton
- Con capi e colleghi: occorre costruirsi e dimostrare una buona dose di fiducia in sé e una solida consapevolezza del proprio ruolo. Sapendo che si affronterà la gerarchia aziendale col rischio di sentirsi condannate invece che comprese. Il consiglio di Sabina è però quello di non approcciarsi in maniera timida o subalterna, perché “se si parte già da un sentimento di inferiorità e si considera il ritardo in ufficio il primo giorno di scuola del figlio non come un diritto, ma come una pretesa, è difficile che l’interlocutore possa vederla in maniera diversa“. Personalmente ricordo bene, in una delle aziende per cui ho lavorato in Italia, una collega molto in gamba che lavorava nel reparto design e grafica. Stava in ufficio le sue 8 ore, riducendo al minimo la pausa pranzo e alle 18 lasciava l’ufficio in silenzio e in punta di piedi per infilarsi nel traffico e andare a prendere i figli. In un ufficio di tutte donne, in cui nessun’altra era sposata o aveva figli, ho sempre trovato quella scena parecchio mortificante. Da un lato per l’atteggiamento poco empatico e comprensivo di chi un giorno potrebbe trovarsi nella stessa situazione. E dall’altro per un’azienda che porta alto il nome del made in Italy all’estero, ma che non sa riconoscere e sostenere le sfide delle madri lavoratrici. In Italia, mi dispiace concordare con Sabina, abbiamo ancora tantissimo lavoro da fare sotto questo profilo.
- Con i figli: l’autrice sostiene di aver accettato in maniera serena il non essere integrata in tutti gli aspetti della vita familiare e della crescita dei figli. Di aver capito che non poteva ambire alla perfezione, ma che doveva fare delle concessioni.
Allo stesso tempo, sostiene l’importanza del fatto che i figli materializzino in modo preciso il lavoro dei genitori e che ne possano ricavare una forma di orgoglio e di gioia, invece di vederlo solo come un peso.
Un’ultima considerazione sul come raggiungere il famoso work life balance, l’equilibrio fra “vita privata e vita professionale”, riguarda l’evitare la trappola che lei chiama “dell’ulteriore bravura“. Evitare di voler strafare, evitare l’esigenza costante di eccellere, di raggiungere la perfezione in ogni ambito e ogni momento. Evitare di voler appagare a tutti i costi i desideri altrui, mettendoci in una posizione di grande pressione.
Riconoscere invece quando un lavoro è “buono abbastanza” e chiuderla lì (che sia in ufficio, a casa o nelle relazioni): questo è il modo di riappropriarci dei propri bisogni e desideri.
12. Maschilismo
Sull’argomento Sabina racconta un episodio che fa riflettere e che, nelle sue varianti, ho visto ripetere spessissimo.
Cena di Natale aziendale. Tutti i dirigenti invitati sono uomini tranne lei. Tutti sono accompagnati dalle mogli, lei è accompagnata dal marito. Mentre gli uomini ricevono una borsa o una valigia come regalo di Natale, alle donne viene regalato un foulard.
Inclusa lei.
Non le viene fatto un regalo equiparandola al ruolo dei suoi colleghi, ma equiparandola al genere delle mogli dei colleghi.
È una dirigente come loro, ma viene considerata per genere e non per ruolo. Quando dopo qualche anno decide di sollevare la questione e farne un piccolo caso politico, la percezione è che il suo problema sia l’aver ricevuto un regalo di minore valore. Non il fatto di non essere considerata alla stregua dei colleghi.
Questo episodio potrà sembrare marginale ad alcuni, ma non lo è affatto. Perché come dice Sabina, “è in gioco la percezione del proprio valore personale“.
Soprattutto quando tanti di questi episodi, a livello micro e macro, vengono ripetuti ed accettati ogni giorno, creando un effetto cumulativo che chiamiamo cultura. Status quo. O “è così che le cose funzionano“.
È così che le cose funzionano finché noi non ci accorgiamo che non va bene e non facciamo qualcosa per cambiarle.
Sabina in questo caso chiama a rapporto le mamme italiane. Che da un lato si lamentano del marito e poi con i figli hanno atteggiamenti che inconsciamente incoraggiano a comportamenti maschilisti. Discriminazione alimentata da tantissimi piccoli segnali che consideriamo irrilevanti, ma che insegnano alle bambine a stare al loro posto.
Per questo insisto spesso sull’importanza di gesti piccoli ma potenti come quello di alzare la mano o smettere di chiedere scusa.
Dobbiamo insegnare alle femmine sin dall’infanzia -dice Sabina- che sapersi opporre allo status quo è una forza. Saper dire no è una forza. Non certo una debolezza.
Dire no non vuol dire esser giudicate male o rischiare penalità. Dire no significa dimostrare la propria libertà.
Il segreto? Tanto più forte sarà la decisione con cui prendiamo posizione, tanto meno saremo giudicate male o rischieremo penalità.
13. Prospettiva
A meno che non si sia stati estremamente fortunati, è capitato a tutti, prima o poi, di trovarci in un ambiente lavorativo in cui siamo stati trattati con toni e modi insolenti.
La riflessione che l’autrice fa è questa: “Nessuno della mia famiglia o amici si permetterebbe questo tono, perché dovrei accettarlo nel mondo professionale come qualcosa che fa parte del gioco?”
La violenza quotidiana, la competitività sfrenata, la mancanza di rispetto delle emozioni… sono tutte condizioni inaccettabili. E accettare la condizione di vittime del mondo del lavoro non è ammissibile.
In questi casi occorre fare appello alle proprie risorse e iniziare a lavorare ad un piano alternativo. Magari rimanere ancora in un dato ruolo o azienda per il tempo che ci conviene, accettando un temporaneo compromesso, ma mettendo una data e un termine a quella situazionee.
Se questo quadro ti suona familiare e non sai da dove partire, ti ho parlato di come affrontare un lavoro che non ti piace in questo articolo.
C’è sempre una soluzione a tutto, basta volerlo. Ma serve anche rispetto di sé, la consapevolezza e la forza di tracciare confini che non devono essere mai superati, la determinazione nel dire “Enough“.
Basta.
Per farlo serve però anche una certa libertà economica. Ed è per questo che ho deciso di chiudere questo articolo con il capitolo del libro in cui Sabina Belli parla di… soldi!
14. Soldi
Si guarda spesso ai soldi come a qualcosa di poco nobile, di sconveniente, quasi volgare. Io ad esempio rimango sempre di sasso quando sento un’amica, collega o conoscente chiamarli “soldini“.
Soldini?!
Non sono soldini. Non è un gioco. Questo non è Monopoli, si chiama vita.
I soldi, tornando alle riflessioni dell’autrice, sono sinonimo di libertà.
Il 90% delle donne che si trovano infelici (che sia in ambito coniugale, personale, professionale o familiare) sono letteralmente intrappolate perché manca loro la libertà economica.
Come conquistarla? Innanzitutto guardando alle cose con oggettività, senza appiccicarci sopra significati e sentimenti personali.
Prendiamo lo stipendio: Sabina Belli lo definisce come “il valore economico attribuito a un livello di competenza“. Una relazione quasi matematica. Guardandolo così è più facile capire quanto importante, necessario e lecito sia chiedere un aumento, una promozione o una negoziazione quando le nostre competenze o responsabilità aumentano.
E non si tratta solamente dei soldi (che pure sono una parte importantissima). Ma anche della sensazione di benessere e giustizia che traiamo da un’equa relazione tra la percezione di noi stessi e il nostro valore economico.
Anche in questo caso: è in gioco la percezione del proprio valore personale.
“Più siamo coscienti del potere che abbiamo di influire sul nostro percorso, meno saremo costretti a subire e più spazio avremo per i nostri sogni e desideri“.
Quello spazio avrà la dimensione del tuo coraggio e della tua fiducia in te stessa e nelle tue capacità.
Vai e guadagnatelo. Fosse anche un centimetro alla volta.
Arli.
(A chi è dedicato)
Come sai, mi incuriosisce sempre leggere i ringraziamenti a inizio o fine di un libro. Anche i più sibillini, raccontano sempre qualcosa di più dell’autore. Fra i vari ringraziamenti a fine libro, Sabina Belli ne fa uno in particolare all’ex marito:
“A Laurent Boisrond, per anni di indispensabile solidarietà e amore”
Non è mai bello quando finisce un amore e un matrimonio. Lo è però quando gli sopravvivono la stima, l’ammirazione e il rispetto reciproco.
Manpreet dice
Articolo molto interessante, si vede l’impegno e la passione che ci hai messo. Ancora complimenti!
Arli dice
Ciao Manpreet,
piacere di conoscerti. Grazie tante del tuo apprezzamento. Spero di averti fra le iscritte alla newsletter per i prossimi contenuti.
A presto!
Arli.
miriam89 dice
Bellissimo articolo, ricco di consigli preziosi. Purtroppo a molte donne (me compresa), viene insegnato che ci si deve accontentare, che il nostro ruolo principale è quello di moglie e madre perfette. Vedo molte mie amiche e conoscenti smettere di lavorare dopo il matrimonio, perché lo stipendio del marito è sufficiente a mantenere la famiglia, oppure se non non lo è, si accontentano di lavori sottopagati e senza ambizioni personali. So bene che purtroppo non tutti hanno la possibilità di scegliere, ma il mio più grande timore è restare bloccata in una relazione che non va bene perché non ho l’ indipenza economica. Sto cercando da tempo un lavoro che mi consenta ciò, ma in un piccolo paese del sud non è facile. Grazie per spronarci a non accontentarci e a far sentire la nostra voce
Arli dice
Ciao Miriam,
piacere di conoscerti. GRAZIE di questa testimonianza e di questo commento; hai sintetizzato la ragione per cui ho creato questo spazio.
Quello che dici sul far sentire la propria voce è un argomento a cui tengo tantissimo e su cui pubblicherò un articolo nelle prossime settimane. Spero che la ricerca del lavoro stia andando bene.
Un in bocca al lupo enorme.
Arli.